Con il D.L. n. 18 del 17 marzo (art. 46) si è stabilito il divieto per il datore di lavoro di procedere a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, per un periodo di 60 giorni a partire dall’entrata in vigore del decreto stesso, nonché il divieto di avviare procedure di licenziamento collettivo.
La norma inoltre, sospende per il medesimo periodo, tutte le procedure di impugnazione dei licenziamenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020.
Restano fuori dal divieto del decreto i licenziamenti di tipo “disciplinare” dovuti, quindi, a giustificato motivo soggettivo e giusta causa. In questi casi, infatti, la ragione del licenziamento risiede nel comportamento del dipendente e non per motivi legati alla crisi della produzione aziendale.
Queste disposizioni hanno suscitato molti dubbi.
Da un lato infatti, la norma sembra porsi in contrasto con l’art. 41 della Costituzione in quanto le ragioni che giustificano il licenziamento per g.m.o. sono espressione dell’insindacabilità delle scelte imprenditoriali e quindi espressione della libertà di iniziativa economica.
Dall’altro lato, ci si chiede come il datore di lavoro potrà gestire i lavoratori in esubero nel caso in cui gli stessi, data la situazione causata dall’emergenza sanitaria, non possano rendere la prestazione lavorativa.
Inoltre, non è stato precisato come dovranno essere gestiti i rapporti di lavoro con i lavoratori con cui, alla data di entrata in vigore del decreto, erano già in corso le procedure di licenziamento individuale.
Per questi motivi dovranno seguire dei chiarimenti da parte del legislatore, con riferimento anche agli ammortizzatori sociali a cui il datore di lavoro potrà ricorrere per far fronte a questa situazione di emergenza.